A quel tempo, allorché gli uomini di innata saggezza Subhuti, Mahakatyayana, Mahakashyapa e Mahamaudgalyayana ebbero udito dal Budda una Legge mai udita prima, ed ebbero udito l’onorato dal mondo predire il conseguimento dell’anuttara-samyak-sambodhi a Shariputra, i loro cuori si commossero come raramente accade ed esultarono di gioia. Immediatamente si alzarono dai loro seggi, si sistemarono le vesti denudandosi la spalla destra e si prostrarono poggiando il ginocchio destro al suolo. Unanimi giunsero le mani, si chinarono rispettosamente e, levando uno sguardo reverenziale verso il volto dell’onorato dal mondo, dissero al Budda: «Siamo qui a capo del gruppo dei monaci, tutti ormai in età avanzata. Avendo già raggiunto il nirvana, credevamo che non avremmo potuto progredire oltre e quindi non abbiamo cercato di conseguire l’anuttara-samyak-sambodhi.
«È trascorso molto tempo da quando l’onorato dal mondo ha cominciato a predicare la Legge. Per tutto quel tempo siamo rimasti seduti sui nostri scranni, col corpo affaticato e inerte, meditando unicamente sulle dottrine di vacuità e di assenza di forma e di azione. Ma la nostra mente non ha mai provato gioia per la pratica del bodhisattva che si avvale liberamente dei poteri trascendentali per purificare le terre del Budda e salvare tutti gli esseri viventi. Per quale ragione? Perché l’onorato dal mondo ci aveva offerto la possibilità di trascendere il triplice mondo e di conseguire l’illuminazione del nirvana.
«Noi siamo ormai in età avanzata e, sentendo parlare di questa anuttara-samyak-sambodhi con la quale il Budda istruisce e converte i bodhisattva, le nostre menti non hanno provato alcuna sensazione di gioia o di entusiasmo. Ora, tuttavia, al cospetto del Budda abbiamo sentito che questo ascoltatore della voce ha ricevuto la predizione che in futuro conseguirà l’anuttara-samyak-sambodhi e il nostro cuore ne è estremamente felice. Abbiamo ottenuto una cosa senza precedenti. D’improvviso abbiamo potuto ascoltare una Legge che è molto raro incontrare, una cosa assolutamente inattesa, e ci consideriamo veramente fortunati. Abbiamo ricevuto un grandissimo beneficio, abbiamo ottenuto un gioiello inestimabile senza cercarlo.
«Onorato dal mondo, avremmo piacere di illustrare ciò che intendiamo con una parabola. Immaginiamo un uomo che in gioventù abbia abbandonato il padre e sia fuggito per vivere in luoghi lontani per molto tempo, dieci, venti, forse addirittura cinquant’anni. Divenuto col passare degli anni sempre più povero e indigente, vagava in ogni direzione alla ricerca di cibo e di vesti. Dopo un incessante e remoto girovagare gli capitò per caso di volgere i suoi passi in direzione della sua terra natia.
«Nel frattempo il padre aveva condotto senza successo ricerche sul figlio e si era trasferito in una certa città. La famiglia del padre era molto ricca: egli possedeva moltissimi beni e tesori. Oro, argento, lapislazzuli, corallo, ambra e collane di cristallo riempivano i suoi forzieri fino all’orlo. Sotto di sé aveva parecchi staffieri e servitori, attendenti e maggiordomi; inoltre possedeva elefanti, cavalli, carri, buoi e un numero illimitato di capre. Si dedicava a proficui affari in patria e nelle terre confinanti e intratteneva rapporti anche con moltissimi mercanti e venditori ambulanti.
«A quel tempo il figlio, ridotto in miseria, vagando di villaggio in villaggio attraverso diverse regioni e città, capitò infine nella città in cui viveva il padre. Questi non aveva smesso di pensare al figlio per un solo istante, sebbene il figlio si fosse allontanato da lui da almeno cinquant’anni; tuttavia, non ne aveva mai fatto parola con nessuno. Il padre si limitava a pensare al figlio con il cuore colmo di dolore e nostalgia. Egli ormai si sentiva in là con gli anni, vecchio, decrepito. Era proprietario di immense ricchezze e possedimenti: oro, argento e rari tesori riempivano i suoi forzieri fino all’orlo, ma non aveva un figlio e, quando un giorno fosse morto, le ricchezze e le proprietà sarebbero andate disperse perché non vi era nessuno cui lasciarle.
«Per questa ragione egli continuvava a pensare intensamente al figlio; lo tormentava questo pensiero: “Se solo potessi ritrovare mio figlio e affidare a lui le mie ricchezze e i miei possedimenti, finalmente mi sentirei sereno e in pace con me stesso e non avrei più alcuna preoccupazione.”
«Onorato dal mondo, a quel tempo il figlio ridotto in miseria passava da un mestiere all’altro finché giunse per caso davanti alla casa del padre. Si soffermò a un lato del cancello e osservò da lontano il padre che sedeva su un trono di leone con le gambe distese su un poggiapiedi ingioiellato, circondato da brahmani, nobili e famigli in atteggiamento deferente. Il suo corpo era adornato da fili di perle che valevano migliaia o decine di migliaia; dipendenti, staffieri e servitori lo assistevano con bianchi ventagli a destra e a sinistra. Era protetto da un baldacchino ingioiellato da cui pendevano ornamenti fioriti; il terreno era cosparso di acqua profumata e petali di fiori rari erano sparpagliati intorno. Qua e là erano disposti oggetti preziosi che gli venivano mostrati e messi da parte, consegnati e accettati. Tali erano gli ornamenti, gli emblemi, le prerogative e i segni che contraddistinguevano questa persona.
«Quando il figlio ridotto in miseria ebbe visto quale fosse il potere e l’autorità di cui godeva il padre, provò una sensazione di timore reverenziale e si rammaricò di essersi avvicinato a tale luogo. Dentro di sé gli sovvenne questo pensiero: “Deve trattarsi di un re o di una persona di rango simile a quello di un re. Questo non è certo un posto in cui io possa sperare di ottenere un lavoro e guadagnarmi da vivere. È meglio che vada in qualche povero villaggio, dove è più facile trovare un impiego lavorando sodo e procurarsi cibo e vesti. Se rimango qui un altro po’, potrei essere preso e costretto a fare il servitore!” Come ebbe riflettuto in questo modo, si allontanò in tutta fretta.
«A quel tempo il vecchio benestante, assiso sul suo trono di leone, notando il figlio lo riconobbe immediatamente e il suo cuore si riempì di grande gioia. Subito pensò: “Ecco, finalmente ho qualcuno cui affidare i miei forzieri e le mie proprietà! Il mio unico pensiero fino a ora è stato quello di ritrovare mio figlio, ma non c’è stato modo di realizzarlo. Ora eccolo comparirmi dinanzi da solo, proprio come avevo sempre desiderato. Io ormai ho raggiunto un’età veneranda, ma continuo a preoccuparmi di ciò che accadrà alle mie ricchezze.”
«Subito inviò un suo uomo dietro al figlio, ordinando che glielo riconducesse il più presto possibile. Allora il messaggero si precipitò di corsa all’inseguimento del figlio e lo catturò. Il figlio ridotto in miseria, sorpreso e pieno di timore, si mise a gridare protestando: “Non ho fatto niente di male! Perché vengo catturato?” Ma il messaggero del padre strinse ancor più saldamente la presa e lo trascinò a forza verso la dimora.
«A quel tempo il figlio pensò: “Non ho commesso alcun crimine e tuttavia vengo fatto prigioniero. Sicuramente sarò messo a morte!” Era terrorizzato come non mai e cadde a terra svenendo per la disperazione.
«Il padre, osservando la scena da una certa distanza, man-dò a dire al messaggero: “Non ho alcun bisogno di quest’uomo. Non costringerlo a venire qui; spruzzagli piuttosto dell’acqua fresca in viso in modo che si riprenda, ma non dirgli più nulla.”
«Per quale motivo il padre fece questo? Perché sapeva che suo figlio, di modeste pretese e senza ambizioni, difficilmente avrebbe accettato il suo rango elevato e le sue ricchezze. Aveva capito subito che quello era suo figlio, ma avvalendosi di un accorgimento si astenne dal dire ad alcuno: “Questo è mio figlio”.
«Il messaggero si rivolse al figlio dicendo: “Ora ti lascio libero; va’ dove meglio credi.” Il figlio ridotto in miseria si rallegrò, avendo ottenuto ciò che non si aspettava, e si alzò da terra per andarsene in un povero villaggio alla ricerca di cibo e di vesti.
«A quel tempo l’uomo ricco, volendo attirare il figlio di nuovo presso di sé, decise di ricorrere a un espediente e inviò due persone in incognito, due individui di aspetto scarno e rozzo. “Andate a cercare quel pover’uomo e avvicinatelo in modo casuale. Ditegli che conoscete un posto in cui potrà guadagnare una paga doppia di quella attuale. Se accetta, portatelo qui e affidategli un lavoro. Se chiede di quale lavoro si tratti, ditegli che dovrà spalare il letame e che voi due lavorerete insieme a lui.”
«I due messaggeri si allontanarono subito in cerca del pover’uomo e quando lo ebbero trovato gli dissero ciò che era stato loro ordinato di dire. Allora il figlio ridotto in miseria chiese un anticipo della paga, poi andò con gli altri due uomini ad aiutarli a spalare il letame.
«Nel momento in cui il padre vide il figlio, provò una profonda pietà e si chiese che cosa potesse fare per lui. Qualche giorno dopo, mentre guardava fuori dalla finestra, vide il figlio in lontananza, il corpo scarno e macilento, sporco di letame, sozzo, sudato e malconcio. Il padre si tolse immediatamente le collane, gli abiti raffinati e gli altri ornamenti e indossò degli abiti cenciosi e sporchi. Si cosparse di sozzura, afferrò con la destra un utensile per spalare il letame e con fare brusco apostrofò gli altri lavoranti: “Continuate a lavorare, pelandroni!” Con questo espediente ebbe modo di avvicinare il figlio.
«In seguito si rivolse a lui dicendogli: “Ehi tu, giovane! Devi continuare a lavorare qua e non devi più andartene. Ti aumenterò la paga e ti darò qualsiasi strumento ti serva per lavorare. Ti darò riso, farina, sale, aceto e non dovrai più preoccuparti di nulla. Ho un vecchio servitore che potrei mettere a tua disposizione quando ne avrai bisogno. Puoi stare tranquillo. Sarò come un padre per te e non avrai più preoccupazioni. Perché dico questo? Perché io ormai sono in là con gli anni, mentre tu sei ancora giovane e vigoroso. Ti ho osservato lavorare, tu non fai il furbo: non sei sfaticato né imprechi con rabbia e risentimento. Mi sembra che tu non abbia neanche uno dei difetti di tutti gli altri miei lavoranti. Quindi, d’ora in poi, sarai tale e quale a un figlio.” Così il ricco scelse un nome che assegnò all’uomo, proprio come se fosse suo figlio.
«Da parte sua il figlio ridotto in miseria, sebbene provasse piacere per quel trattamento, continuava a ritenersi una persona di umile condizione alle dipendenze di altri. Quindi il ricco lo tenne presso di sé a spalare letame per i seguenti vent’anni. Trascorso quel periodo di tempo, il figlio cominciò a capire che godeva della massima fiducia e che poteva recarsi ovunque a suo piacimento; tuttavia continuava a vivere nello stesso posto.
«Onorato dal mondo, a quel tempo il vecchio ricco si ammalò e capì che sarebbe morto di lì a poco. Allora si rivolse al figlio povero e gli disse: “Io possiedo enormi quantità di oro, argento e rarissimi tesori che riempiono i miei forzieri fino all’orlo. Tu ti prenderai cura di tutti i miei beni controllando le entrate e le uscite. Questo è ciò che ho stabilito e desidero che tu esegua il mio volere. Perché dico questo? Perché d’ora in avanti tu e io dovremo agire come se fossimo una sola persona. Quindi cerca di fare del tuo meglio in modo che non si verifichino errori o ammanchi.”
«A quel tempo il figlio ridotto in miseria, avendo ricevuto queste istruzioni, si assunse il compito di vigilare su tutte le ricchezze del padre, l’oro, l’argento, i molti tesori e i vari forzieri; tuttavia mai una volta gli venne in mente di appropriarsi nemmeno di qualcosa del valore equivalente a un solo pasto. Continuò a vivere come aveva fatto fino ad allora, incapace di pensare a se stesso se non come a una persona umile e di bassa estrazione.
«Trascorso un certo lasso di tempo, il padre intuì che il figlio a poco a poco era diventato più sicuro di sé, aveva allargato la sua mente e sviluppato una grande volontà, che cominciava a vergognarsi della precedente bassa opinione che aveva avuto di se stesso. Sentendo che la sua fine si avvicinava, ordinò al figlio di organizzare un incontro con tutti i parenti, in presenza del sovrano, degli alti dignitari, dei nobili e di tutte le persone del palazzo. Quando tutti furono riuniti, fece questa dichiarazione: “Signori, sappiate che questo è mio figlio, carne della mia carne. Egli mi abbandonò quando vivevamo nella tal città e per più di cinquant’anni è andato girovagando, affrontando difficoltà e sofferenze. Il suo nome è tal dei tali, mentre il mio è talaltro. In passato, quando vivevo ancora nella mia città natale, ero molto preoccupato per la sua sorte e partii alla sua ricerca. Dopo un certo tempo, me lo sono visto comparire davanti all’improvviso. Questo è veramente mio figlio e io sono davvero suo padre. Ora sappiate che tutti i miei averi, le mie ricchezze e le mie proprietà in futuro apparterranno a questo mio figlio. Egli è perfettamente al corrente di tutti gli affari precedenti relativi alle entrate e alle uscite.”
«Onorato dal mondo, quando il figlio ridotto in miseria ebbe udito queste parole del padre, provò una gioia profonda, dato che aveva ottenuto quello che mai aveva avuto prima. Subito ebbe questo pensiero: “Non mi è mai passato per la testa di desiderare o di cercare questi beni. Eppure tutte queste ricchezze sono venute a me spontaneamente!”
«Onorato dal mondo, il vecchio con le sue immense ricchezze non è altri che il Tathagata e tutti noi siamo i figli del Budda. Il Tathagata ci ripete di continuo che noi siamo suoi figli. Tuttavia, a causa delle tre sofferenze, onorato dal mondo, nel ciclo di nascita e di morte sopportiamo tremendi tormenti e, poiché siamo illusi e ignoranti, proviamo piacere nel seguire dottrine inferiori. Ma oggi l’onorato dal mondo ci ha fatto riflettere profondamente, ci ha fatto mettere da parte tali dottrine e le vuote discussioni.
«Siamo stati diligenti e ci siamo sforzati su questo percorso fino a che non abbiamo raggiunto il nirvana, l’equivalente della paga di una giornata. E, una volta che l’abbiamo raggiunto, i nostri cuori si sono riempiti di immensa gioia, perché questa meta ci sembrava sufficiente. Dentro di noi ci siamo subito detti: “Dato che siamo stati diligenti e ci siamo sforzati nella Legge del Budda, abbiamo ottenuto questa grande e profonda comprensione.”
«Tuttavia l’onorato dal mondo, sapendo in precedenza che le nostre menti si aggrappano a desideri indegni e apprezzano le dottrine inferiori, ci perdona e ci lascia fare e, senza cercare di spiegare, dice: “Voi arriverete a possedere la penetrante visione del Tathagata, la vostra parte del tesoro!” L’onorato dal mondo ha utilizzato il potere degli espedienti e ci ha predicato la saggezza del Tathagata in modo che, dando ascolto al Budda, raggiungessimo il nirvana, la paga di una giornata. Poiché noi ritenevamo che si trattasse di un ottimo risultato, non avevamo nessuno stimolo a ricercare il grande veicolo.
«Inoltre, sebbene avessimo illustrato e descritto la saggezza del Budda a beneficio dei bodhisattva, non abbiamo mai aspirato a conseguirla per noi. Perché diciamo ciò? Perché il Budda, sapendo che le nostre menti apprezzano le dottrine inferiori, utilizzando il potere degli espedienti ha predicato in una forma che fosse adatta a noi. Così noi non sapevamo di essere in effetti figli del Budda. Ma ora finalmente ne siamo consapevoli.
«L’onorato dal mondo non è mai avaro della saggezza del Budda. Perché diciamo questo? Fin dalle epoche passate siamo sempre stati davvero i figli del Budda, ma non abbiamo fatto altro che apprezzare dottrine inferiori. Se avessimo avuto una mente capace di apprezzare quelle superiori, il Budda avrebbe predicato per noi la Legge del grande veicolo.
«Ora, in questo sutra, il Budda espone soltanto l’unico veicolo. Anche in passato, quando in presenza dei bodhisattva disprezzò gli ascoltatori della voce in quanto seguivano una dottrina inferiore, il Budda stava di fatto utilizzando il grande veicolo per istruirci e convertirci. Perciò diciamo che, sebbene sia una cosa che in origine non abbiamo desiderato né cercato, ora il grande tesoro del re del Dharma è venuto a noi spontaneamente. Si tratta di una cosa che i figli del Budda hanno diritto di acquisire e in questo momento l’hanno acquisita.»
A quel tempo Mahakashyapa, desiderando ribadire le sue parole, si espresse in versi dicendo:
Oggi abbiamo udito
la voce del Budda che istruisce
ed esultiamo di gioia,
perché abbiamo ottenuto ciò che mai avevamo avuto.
Il Budda dichiara che gli ascoltatori della voce
potranno conseguire la Buddità.
Questo cumulo di gioielli inestimabili
è venuto a noi senza bisogno di cercarlo.
È come il caso di un ragazzo il quale,
ancora giovane e ignorante,
abbandonò il padre e fuggì
per recarsi in terre remote
vagando da un paese all’altro
per oltre cinquant’anni.
Il padre angosciato
lo cercò per ogni dove
finché, sfinito dalle vane ricerche,
si fermò in una certa città.
Là fece costruire un palazzo
ove poter indulgere nei cinque desideri.
La sua casa era ampia e lussuosa,
piena di oro, argento,
madreperla, agate,
perle e lapislazzuli,
di elefanti, cavalli, buoi e capre,
di portantine, di carri,
di campi coltivati, di servitori, attendenti
e altre persone in gran numero.
Egli si dedicava ad affari vantaggiosi
in città e nei luoghi vicini
e aveva alle sue dipendenze mercanti e venditori ambulanti.
Migliaia, decine di migliaia, milioni di persone
lo circondavano e lo riverivano;
egli godeva del favore
e della considerazione costante del sovrano.
I ministri e le famiglie al potere,
tutti lo onoravano
e moltissimi erano coloro che per una ragione o per l’altra
gli si accalcavano intorno.
Tali erano l’immenso prestigio,
il grande potere e l’influenza di cui godeva.
Ma sentendo avanzare l’età della vecchiaia
si ricordò del figlio con sempre maggiore angoscia:
notte e giorno non pensava ad altro.
“Si avvicina il momento della mia morte.
Più di cinquant’anni sono trascorsi
da quando quello sciocco ragazzo mi ha lasciato.
I miei forzieri traboccano di ricchezze…
Che ne sarà dei miei averi?”
Nel frattempo il figlio ridotto in miseria
vagava alla ricerca di cibo e di vesti,
facendo la spola da un villaggio all’altro,
da un paese all’altro,
talvolta riuscendo a procurarsi qualcosa,
altre volte restando a mani vuote,
scarno e affamato,
il corpo ricoperto di piaghe e di infezioni.
Vagando di luogo in luogo
egli giunse un giorno alla città ove viveva il padre
e, cambiando spesso lavoro,
capitò davanti al palazzo paterno.
A quel tempo l’uomo ricco
aveva fatto innalzare un grande baldacchino ingioiellato
all’interno del suo giardino
e sedeva su un trono di leone,
circondato dai suoi servitori
e da molti attendenti e guardiani.
Alcuni calcolavano
l’oro, l’argento e gli oggetti preziosi
o riportavano sui registri
le entrate e le spese.
Il figliolo impoverito, osservando
quanto illustre e distinto fosse il padre,
immaginò che fosse il re del paese
o persona di egual rango.
Allarmato e meravigliato,
si chiese per quale ragione fosse finito lì.
Segretamente cominciò a pensare:
“Se indugio nei paraggi troppo a lungo
forse sarò catturato
e costretto a lavorare come servitore.”
Come gli sovvenne questo pensiero,
corse via da quel luogo
alla ricerca di un povero villaggio
dove sperare in un lavoro retribuito.
L’uomo ricco intanto,
assiso sul suo trono di leone,
vide da lontano il figlio
e tacitamente lo riconobbe.
Inviò subito un messaggero
che lo raggiungesse in fretta e lo riconducesse a lui.
Il figlio ridotto in miseria, gridando dal terrore,
si gettò a terra disperato.
«Quest’uomo mi ha catturato;
di certo vorrà mettermi a morte!
Possibile che la mia ricerca di cibo e vesti
mi abbia condotto a questa fine?»
L’uomo ricco sapeva che il figlio
era ignorante e privo di rispetto per sé.
“Non crederà mai alle mie parole,
non crederà mai che sia suo padre.”
Così decise di impiegare un accorgimento
e inviò altri uomini presso il figlio:
uno guercio, un altro rozzo e malandato,
ambedue di aspetto dimesso,
dicendo loro: «Parlategli
e ditegli che avrà un lavoro,
dovrà spalare letame e spazzatura,
e avrà una paga doppia di quella consueta».
Quando il figlio ridotto in miseria udì queste parole
ne fu felice; ritornò con i messaggeri
e cominciò a spalare letame
e a pulire le sale della casa.
Dalla finestra il ricco
osservava il figlio di continuo
riflettendo su quanto fosse stolto e privo di rispetto per sé
da essere soddisfatto di quel mestiere servile.
In alcune occasioni l’uomo ricco
indossava abiti sporchi e malconci,
afferrava un utensile per spalare il letame
e si recava presso il figlio,
avvalendosi di questo espediente per avvicinarlo
e incoraggiarlo a lavorare sodo.
«Ti ho aumentato la paga
e ti ho fornito l’olio con cui ungerti i piedi.
Farò in modo che tu abbia cibo e bevande in abbondanza,
un giaciglio e coperte spesse e calde».
In altre occasioni lo redarguiva:
«Devi lavorare sodo!»
Oppure, con tono gentile
diceva: «Sei come un figlio per me!»
Il ricco, che era saggio,
a poco a poco permise al figlio di accedere liberamentealla casa.
Trascorsi vent’anni,
gli affidò gli affari di famiglia,
mostrandogli l’oro, l’argento,
le perle, i cristalli
e tutti gli altri beni che vendeva o comprava,
in modo che il figlio sapesse tutto in proposito;
il figlio tuttavia continuava a vivere fuori del palazzo
e dormiva in una capanna di paglia,
poiché si considerava povero
e pensava: “Niente di tutto questo mi appartiene.”
Il padre capì che la mentalità del figlio
gradualmente si era aperta
e, desiderando tramandargli i suoi beni e averi,
riunì tutti i parenti,
il sovrano, gli alti dignitari,
i nobili e tutti i famigli.
Al cospetto di questa grande assemblea
dichiarò: «Questo è mio figlio
che mi lasciò in gioventù e andò errando
per oltre cinquant’anni.
Da quando l’ho ritrovato
sono trascorsi più di vent’anni.
Tanto tempo fa, nella città tal dei tali,
allorché perdetti mio figlio,
mi misi in viaggio per cercarlo
finché un giorno non sono giunto in questa città.
Tutto ciò che possiedo,
il mio palazzo e la mia gente,
lo affido interamente a lui:
ne faccia ciò che desidera.»
Il figlio pensò a quanto era stato povero in passato,
umile e privo di rispetto per sé,
ma ora aveva ricevuto dal padre
questo enorme lascito di tesori preziosi,
oltre al palazzo paterno
e a tutti gli altri beni e averi.
Il suo cuore si riempì di grande gioia,
perché aveva ottenuto ciò che non si era mai aspettato.
Anche il Budda agisce così.
Egli conosce la nostra inclinazione per le cose infime
e pertanto non ci ha mai detto:
«Voi conseguirete la Buddità.»
Invece ci ha insegnato
a liberarci da tutte le illusioni,
a praticare il piccolo veicolo
e divenire discepoli ascoltatori della voce.
In seguito il Budda ci ha ordinato
di predicare la Via suprema
e di spiegare che coloro che la praticano
potranno conseguire la Buddità.
Noi abbiamo ricevuto l’insegnamento del Budda
e, a beneficio dei grandi bodhisattva,
ci siamo serviti di cause e condizioni,
di diverse similitudini e parabole,
di una grande varietà di parole e frasi
per esporre la Via insuperata.
Quando i figli del Budda
tramite noi odono la Legge,
cominciano a riflettere giorno e notte
e cercano di praticarla con diligenza e assiduità.
Allora il Budda
concede loro una predizione:
«In un’esistenza futura
voi conseguirete la Buddità.»
Riguardo alla Legge del tesoro segreto
di tutti i vari Budda,
solo a esclusivo beneficio dei bodhisattva,
non a nostro beneficio,
abbiamo illustrato i veri principi.
È il caso del figlio ridotto in miseria
che riuscì a ricongiungersi al padre.
Sebbene fosse a conoscenza di tutti i beni del padre,
non ci teneva affatto a possederli.
Così, sebbene noi descrivessimo
il tesoro segreto della Legge del Budda,
non abbiamo mai desiderato di ottenerlo per noi
e in questo senso i casi sono simili.
Abbiamo cercato di sradicare ciò che era dentro di noi
credendo che fosse sufficiente.
Avevamo capito solo questo aspetto
e non sapevamo niente degli altri.
Sebbene avessimo sentito parlare
di purificazione delle terre del Budda,
di istruire e convertire gli esseri viventi,
non ne abbiamo mai tratto gioia.
Perché questo?
Perché tutti i fenomeni
sono uniformemente vuoti, tranquilli,
senza nascita e senza estinzione,
né grandi né piccoli,
privi di difetti e di azione.
Quando una persona pensa in questo modo,
non può provare gioia né piacere.
Per tutta la lunga notte,
per la saggezza del Budda
noi non abbiamo nutrito né avidità né attaccamento
e neppure alcun desiderio di possederla.
Riguardo alla Legge credevamo
di possederne l’essenza.
Per tutta la lunga notte
abbiamo praticato la Legge della vacuità
liberandoci dal triplice mondo
e dal suo fardello di ansie e sofferenze.
Siamo vissuti nella nostra ultima esistenza
nel nirvana con residui.
Poiché l’insegnamento e la conversione del Budda
non furono vani,
abbiamo conseguito una via
e, nel fare questo, abbiamo creduto che fosse ripagato
il debito di riconoscenza verso il Budda.
Sebbene noi predicassimo
la Legge del bodhisattva
a beneficio dei figli del Budda,
incoraggiandoli a ricercare la Via del Budda,
tuttavia noi non abbiamo mai
anelato a quella Legge.
Fummo abbandonati dalla nostra guida e maestro
perché egli aveva osservato ciò che era nella nostra mente.
All’inizio non ci ha mai incoraggiato
né parlato del vero beneficio.
Egli ha agito come il ricco
consapevole delle modeste ambizioni del figlio,
che fece uso di un espediente
per aprire e plasmare la mente del figlio
così da potergli poi affidare
le sue ricchezze e i suoi tesori.
Anche il Budda è così:
ricorre a insoliti modi di agire.
Sapendo che alcuni sono attirati da cose insignificanti,
egli si avvale del potere degli espedienti
per plasmare e temprare le loro menti,
e solo allora insegna la grande saggezza.
Oggi noi abbiamo ottenuto ciò
che mai avevamo avuto prima;
ciò che prima era insperato
è venuto a noi spontaneamente.
Noi siamo come il figlio ridotto in miseria
che ottenne un tesoro inestimabile.
Onorato dal mondo,
ora abbiamo raggiunto la Via, conseguito il frutto;
grazie alla Legge che non ha difetti
siamo venuti in possesso dell’occhio incontaminato.
Per tutta la lunga notte
abbiamo osservato i puri precetti del Budda
e oggi per la prima volta
abbiamo gustato il frutto della ricompensa.
Nella Legge del re del Dharma
per molto tempo ci siamo dedicati alle pratiche di brahma;
ora abbiamo raggiunto la condizione priva di illusioni,
il grande frutto che non ha eguali.
Ora siamo diventati
veri ascoltatori della voce,
perché facciamo nostra la voce della Via del Budda
e la faremo udire a tutti.
Ora siamo diventati
veri arhat,
e ovunque
fra gli dèi e gli uomini, i demoni e i Brahma
di svariati mondi
noi siamo degni di ricevere offerte.
L’onorato dal mondo nella sua grande benevolenza
si avvale di una cosa rara;
pieno di pietà e compassione insegna e converte
arrecando beneficio a noi tutti.
Chi mai potrebbe ripagare il debito
anche nel corso di innumerevoli milioni di kalpa?
Se anche offrissimo mani e piedi,
chinassimo il capo in segno di obbedienza
e offrissimo doni di ogni tipo,
nessuno di noi potrebbe ripagarlo.
Se anche lo sollevassimo al di sopra delle nostre teste,
lo portassimo sulle spalle
per un numero di kalpa pari alle sabbie del Gange
e lo riverissimo con tutto il nostro cuore;
se venissimo a lui con cibi raffinati,
con innumerevoli abiti ingioiellati,
con giacigli di finissima fattura,
diversi tipi di bevande e medicine,
con sculture in sandalo testa di bue
e con tutti i tipi di pietre preziose;
se costruissimo torri in suo onore
e cospargessimo il suolo di stoffe preziose;
se anche facessimo tutto ciò
in segno di gratitudine
per un numero di kalpa pari alle sabbie del Gange,
ancora non saremmo in grado di ripagarlo.
I Budda possiedono rari,
illimitati, incommensurabili, inconcepibili
poteri sovrannaturali.
Liberi dalle illusioni, liberi di agire,
questi re delle dottrine
le espongono con pazienza
a beneficio delle persone umili e modeste;
per le persone comuni attaccate alle apparenze
predicano nel modo più appropriato alle circostanze.
Rispetto alla Legge, i Budda
sono in grado di agire in assoluta libertà.
Essi comprendono i vari desideri e le gioie
degli esseri viventi,
così come gli obiettivi e le facoltà di ognuno
e, adattandosi alle loro capacità,
utilizzano innumerevoli esempi
per esporre loro la Legge.
Utilizzando le buone radici
create dagli esseri viventi nelle esistenze passate,
sapendo quali sono mature
e quali non lo sono ancora,
essi fanno diverse valutazioni,
operano distinzioni,
e predicano la Via dell’unico veicolo
nel modo più appropriato, come se fossero tre.