Il diciassettesimo giorno del sesto mese dell’undicesimo anno di Bun’ei [1274] tagliammo degli alberi e costruimmo un rifugio temporaneo qui nelle montagne. Ma adesso sono trascorsi quasi quattro anni, i pilastri sono marci e il cancello e i muri cadono a pezzi. Non essendo stati riparati, anche la notte, quando non ci sono fuochi accesi, leggo le sacre scritture alla luce della luna e, se mi dimentico di riavvolgere i rotoli dei sutra, ci pensa il vento a rimetterli a posto.
Quest’anno i dodici pilastri hanno chinato la testa nelle quattro direzioni e i quattro muri sono improvvisamente crollati, tutti insieme. Poiché sono una persona comune che dipende da altre cose per la propria esistenza, riesco a malapena a sopravvivere e sto pregando che la luna continui a splendere e la pioggia smetta di cadere. Non essendoci uomini che possano fare i lavori pesanti, ho esortato i miei discepoli che sono qui per studiare a occuparsi delle riparazioni. E siccome siamo a corto di cibo, ci manteniamo in vita mangiando la neve. Perciò i due carichi di tari che ho ricevuto da Ueno e il carico che tu mi hai mandato adesso sono più preziosi dei gioielli.