Numero: 83
Data: 1276
Luogo: Minobu
Destinatario: Konichi, monaca laica

Lettera a Konichi-bo

Nel nono mese dell’ottavo anno di Bun’ei (1271), segno ciclico kanoto-hitsuji, avendo attirato su di me l’ira del governante, fui esiliato nell’isola di Sado, nel mare del nord. Quando vivevo a Kamakura nella provincia di Sagami, provavo una certa nostalgia per la provincia di Awa, il mio luogo di nascita. Ma, benché fosse il mio paese, l’ho visitato raramente perché c’era qualcosa nei sentimenti delle persone che mi rendeva difficile creare relazioni strette. In seguito incorsi nell’ira del governante e avrei dovuto essere giustiziato, invece venni bandito dalla provincia di Sagami. Perciò, a meno che non accadesse qualcosa di straordinario, non sarei più potuto tornare a Kamakura e, se non potevo tornare, non avrei potuto visitare la tomba dei miei genitori. Pensando a ciò mi rammaricavo pieno di rimpianto: perché, prima di trovarmi in una simile situazione, non avevo attraversato il mare e scalato le montagne ogni giorno, o almeno una volta al mese, per visitare la tomba dei miei genitori e per chiedere notizie del mio maestro1?

Su Wu2 restò prigioniero nella terra dei barbari del nord per diciannove anni e invidiava le oche selvatiche che migravano verso sud. Nakamaro3 fu inviato in Cina dall’imperatore giapponese e gli anni passarono senza che gli fosse permesso di tornare in patria. Ogni volta che vedeva la luna sorgere a est si consolava pensando che era la stessa luna che stava sorgendo sul monte Mikasa nella sua provincia e che in quello stesso momento anche gli abitanti del suo paese natale la stavano contemplando. Proprio mentre ero sopraffatto dalla nostalgia, ho ricevuto dal mio paese natale l’abito da te inviato per mezzo di una persona che veniva a Sado. Per Su Wu si trattò della zampa di un’oca, per me di un abito vero e proprio! La sua gioia non potrebbe essere nemmeno lontanamente paragonabile alla mia.

Gli abitanti di questo paese, ingannati dai preti Nembutsu e dalle scuole Zen, dei Precetti e della Vera parola, esteriormente si comportano come se riverissero il Sutra del Loto, ma in cuor loro non ci credono. Io, Nichiren, non credo di aver fatto nulla di male quando ho sostenuto la supremazia del Sutra del Loto, tuttavia tutti mi odiano, proprio come nell’Ultimo giorno della Legge del Budda Re Suono Maestoso detestavano il Bodhisattva Mai Sprezzante. Dal reggente alla gente comune, nessuno vuole nemmeno sentire pronunciare il mio nome e ancor meno incontrarmi di persona. Di conseguenza, anche se sono innocente da ogni colpa, non ho alcuna possibilità di essere perdonato dall’esilio. Per di più, io ho detto che il Nembutsu, che il popolo del Giappone rispetta più dei propri genitori e onora più del sole e della luna, è la causa che conduce all’inferno di incessante sofferenza, che la scuola Zen è un’invenzione dei demoni celesti, che la scuola della Vera parola è una dottrina malvagia che manderà in rovina il paese, e ho insistito che i templi dei seguaci del Nembutsu, della scuola Zen e dei preti della scuola dei Precetti fossero bruciati e che i preti Nembutsu e gli altri fossero decapitati4. Mi sono spinto tanto in là da affermare che i due preti laici defunti5 dei templi Saimyo e Gokuraku erano caduti nell’inferno Avichi. Tale è stata la gravità del mio reato. Dopo aver pronunciato accuse così gravi contro tutti, umili e potenti, anche se l’avessi fatto per sbaglio, non avrei mai più potuto stare a questo mondo. E, cosa ancora peggiore, ho ripetuto questi ammonimenti mattina e sera, li ho discussi giorno e notte e ho anche avvisato Hei no Saemon e diverse centinaia di altri funzionari che non avrei mai smesso di ripeterli, qualunque fosse la punizione nella quale potessi incorrere. Quindi, anche se una roccia in fondo al mare, che può essere spostata solo da mille uomini, potesse affiorare da sola alla superficie o se la pioggia che cade dal cielo non raggiungesse il suolo, io, Nichiren, non avrei potuto assolutamente tornare a Kamakura.

Tuttavia mi ha dato coraggio pensare che, se l’insegnamento del Sutra del Loto è vero e se gli dèi del sole e della luna non mi abbandonano, potrei avere ancora la possibilità di tornare a Kamakura e anche di visitare la tomba dei miei genitori. Dalla cima di un’alta montagna gridai forte: «Cosa è successo a Brahma e a Shakra, agli dèi del sole e della luna, ai quattro re celesti? Forse la Dea del Sole e il Grande Bodhisattva Hachiman hanno lasciato questo paese? Intendete violare il voto fatto in presenza del Budda e abbandonare il devoto del Sutra del Loto? Anche se mancherete di proteggere me, Nichiren, io non me ne rammaricherò, qualsiasi cosa mi accada. Ma ognuno di voi pronunciò un voto solenne in presenza del signore Shakyamuni, del Budda Molti Tesori e di tutti i Budda delle dieci direzioni: se adesso, invece di proteggere Nichiren, lo abbandonate, non farete delle parole del Sutra del Loto «mettendo da parte onestamente gli espedienti»6 una grossa menzogna? Voi avete ingannato tutti i Budda delle dieci direzioni e delle tre esistenze, una colpa più grave delle atroci falsità di Devadatta e delle menzogne del Venerabile Kokalika. Adesso potete anche essere rispettati come il grande re celeste Brahma che vive in cima al mondo della forma, o come il Dio dai Mille Occhi7 che vive sulla cima del monte Sumeru, ma, se abbandonate me, Nichiren, diventerete legna da ardere per alimentare le fiamme dell’inferno Avichi e sarete per sempre confinati nella grande fortezza della sofferenza incessante. Se temete di commettere questa colpa, manifestate al più presto qualche segno al paese permettendomi così di tornare a casa».

Io fui arrestato il dodicesimo giorno del nono mese; poco dopo, nell’undicesimo mese, scoppiò una ribellione8 e l’undicesimo giorno del secondo mese dell’anno successivo vari generali che dovevano proteggere il Giappone, furono uccisi senza ragione. Era un chiaro segno della punizione del cielo. Forse scosse da questo episodio, le autorità rilasciarono i miei discepoli imprigionati.

Comunque io non ero ancora stato perdonato e continuai a rimproverare gli dèi celesti con veemenza ancora maggiore. Poi un giorno vidi volare in cielo un corvo dalla testa bianca, ricordai la storia del cavallo con le corna e del corvo dalla testa bianca del principe Tan di Yen9 e la poesia dell’onorevole Nichizo10: «Perfino la testa del corvo di montagna è diventata bianca. Il momento del mio ritorno a casa è finalmente arrivato», e mi convinsi che presto sarei stato rilasciato. Infatti, come mi aspettavo, il governo inviò una lettera di condono il quattordicesimo giorno del secondo mese dell’undicesimo anno di Bun’ei (1274), che arrivò nella provincia di Sado l’ottavo giorno del terzo mese.

Lasciai [la mia residenza a] Sado il tredicesimo giorno di quel mese e giunsi al porto di Maura dove passai la notte del quattordicesimo. Sarei dovuto arrivare al porto di Teradomari, nella provincia di Echigo, il quindicesimo giorno, ma una tempesta ci spinse fuori rotta. Fortunatamente, dopo essere rimasti al largo per due giorni, giungemmo a Kashiwazaki; il giorno seguente giunsi nel capoluogo della provincia di Echigo e finalmente il ventiseiesimo giorno del terzo mese entrai in Kamakura dopo un viaggio di dodici giorni11. L’ottavo giorno del quarto mese ho avuto un incontro con Hei no Saemon, ma, come mi aspettavo, i miei ammonimenti rimasero inascoltati. Avevo protestato tre volte12 al solo scopo di salvare il Giappone dalla rovina, ma, sapendo che quando i propri ammonimenti vengono ignorati tre volte bisogna ritirarsi in una foresta sulle montagne, il dodicesimo giorno del quinto mese lasciai Kamakura.

Pensai di tornare al mio paese natale per recarmi ancora una volta in visita alla tomba dei miei genitori. Ma la tradizione, sia nel Buddismo che nel mondo secolare, vuole che si ritorni a casa carichi di onori. Se fossi tornato senza un qualsiasi onore degno di nota, non mi sarei dimostrato un figlio poco devoto? Tuttavia, visto che ero riuscito a ritornare a Kamakura superando prove durissime, pensai che forse avrei avuto anche la possibilità di tornare a casa trionfalmente e che allora avrei visitato la tomba dei miei genitori. Con questa profonda convinzione non sono ancora tornato nel mio paese natale. Tuttavia la nostalgia di casa è così forte che quando qualcuno dice che il vento soffia da est corro fuori a sentirlo e, se mi dicono che le nuvole si stanno raccogliendo in cielo a oriente, vado in giardino a osservarle. Per questo accolgo con gioia anche una persona per la quale non provo amicizia se dice che viene dal mio paese. Immagina quindi com’è stata grande la mia gioia nel ricevere la tua lettera. L’ho aperta e letta in gran fretta, solo per scoprire che avevi perso tuo figlio Yashiro l’ottavo giorno del sesto mese di due anni fa. Ero stato così felice prima di aprire la tua lettera, ma, dopo aver letto la triste notizia, mi è dispiaciuto di averla aperta così in fretta. Ho provato un dispiacere paragonabile a quello di Urashima Taro quando aprì il suo scrigno13.

Mi sta molto a cuore la gente della mia provincia natale e mi preoccupo anche della sorte di chi mi ha fatto soffrire. Tuo figlio mi era rimasto impresso in maniera particolare per il suo bell’aspetto che lo faceva spiccare fra gli altri e per il suo modo di pensare, privo di qualsiasi testardaggine. [Lo vidi] durante una mia lezione sul Sutra del Loto, ma non gli rivolsi la parola dato che erano presenti molti sconosciuti. Quando la lezione finì anche lui se ne andò insieme a tutti gli altri ascoltatori, ma dopo mandò un messaggero per comunicarmi quanto segue: «Vengo da un posto chiamato Amatsu nella provincia di Awa. Fin dall’infanzia io ho ammirato il vostro sincero impegno, così come mia madre. Forse penserete che stia parlando con eccessiva familiarità, ma c’è una questione sulla quale vorrei chiedervi consiglio in privato. So che per parlarvi dovrei aspettare fino a quando ci saremo conosciuti meglio ma, prestando servizio presso un guerriero, dispongo di poco tempo e inoltre la faccenda è piuttosto urgente. Quindi vi prego di perdonare la mia scortesia e di concedermi un incontro».

Questo è il modo cortese con il quale mi chiese di consigliarlo. Inoltre, poiché proveniva dalla mia provincia natale, gli dissi di non fare cerimonie e lo invitai a casa mia. Dopo avermi dato notizie dettagliate del passato e del futuro, disse: «In questo mondo niente è permanente. Nessuno sa quando morirà. Inoltre, essendo al servizio di un guerriero, io non posso evitare una sfida a combattere che mi è appena stata comunicata. Temo ciò che mi attende nell’altra vita. Vi prego di aiutarmi».

Lo istruii in merito citando dei passi del sutra. Egli si lamentò dicendo: «Non posso fare niente per mio padre, che è morto. Ma mia madre è vedova e, se morissi prima di lei, non potrei assolvere ai miei doveri filiali. Se dovesse accadermi qualcosa, per favore, chiedete ai vostri discepoli di prendersi cura di lei».

Mi fece questa richiesta in maniera rispettosa. Ho ragione nel supporre che niente di male sia accaduto in quell’occasione e che abbia trovato la morte in una circostanza successiva?

Chiunque nasca come essere umano, umile o potente, non è libero dalla sofferenza e dalle disgrazie. Le difficoltà variano nel tempo e differiscono a seconda delle persone. Il dolore è come la malattia: qualunque sia la malattia di cui si soffre, quando si aggrava si pensa che nessuna malattia può essere peggiore della nostra. C’è il dolore di separarsi dal proprio signore, dai propri genitori, dal proprio consorte e nessuno è trascurabile. Si può comunque trovare un altro signore da servire o trovare conforto risposandosi, ma la sofferenza di perdere un genitore o un figlio non fa che approfondirsi sempre più con il passare dei giorni e dei mesi. Tuttavia, anche nel caso della separazione dai genitori o dai figli, che i genitori muoiano mentre i figli continuano a vivere fa parte del naturale ordine delle cose. Ma che una madre anziana sia preceduta nella tomba dal figlio è una cosa troppo penosa, tanto che si può nutrire risentimento verso gli dèi celesti e il Budda. Perché non hanno preso te invece di tuo figlio? È crudele averti inflitto questo gran dolore lasciandoti sopravvivere. È veramente duro da sopportare!

Anche gli animali meno dotati di sentimento non possono sopportare di separarsi dai loro piccoli. Il fagiano dorato al monastero del Boschetto di Bambù si gettò nelle fiamme e morì nel tentativo di salvare le sue uova14. Il cervo maschio al Parco dei Cervi offrì se stesso al re per salvare il piccolo ancora nell’utero di una femmina15. Quanto più grande, quindi, deve essere l’amore degli esseri umani verso i propri figli! La madre di Wang Ling16 si spaccò la testa [morendo per impedire al figlio di divenire un traditore] e la consorte dell’imperatore Shen Yao17 si aprì l’addome per amore del principe non ancora nato. Considerando questi esempi, sono certo che tu stessa non esiteresti a gettarti nelle fiamme o a spaccarti la testa se questo ti permettesse di rivedere ancora tuo figlio. Immaginando la tua sofferenza, le mie lacrime non cessano di scorrere.

Dici nella tua lettera: «Siccome mio figlio ha ucciso altri uomini, vorrei che mi dicessi in quale posto potrà rinascere». Un ago affonda nell’acqua e la pioggia non rimane in cielo. Coloro che uccidono anche solo una formica sono destinati all’inferno e coloro che fanno a pezzi i cadaveri non possono sfuggire ai cattivi sentieri. Più di tutti soffrirà chi uccide un essere umano. Comunque, anche una grande roccia può galleggiare sul mare se viene trasportata da una barca. E l’acqua non può forse spegnere anche un grande fuoco? Anche una piccola colpa può condurci sui sentieri del male se non ce ne pentiamo, ma anche una grave colpa può essere cancellata se ce ne pentiamo.

Citerò alcuni esempi. Il monaco che rubò il miglio rinacque per cinquecento vite consecutive come un bue18. Colui che rubò l’avena cadde nei tre cattivi sentieri19. Più di ottantamila sovrani, fra i quali Rama, Bhadrika, Viruchin, Nahusha, Karttika, Vishakha, Luce della Luna, Fulgida Luce, Luce del Sole, Bramoso, e Detentore di Molte Persone uccisero il proprio padre per salire al trono e, poiché non incontrarono un buon maestro, la loro colpa non poté essere cancellata e infine caddero nell’inferno Avichi.

A Varanasi c’era un uomo malvagio chiamato Ajita. Essendosi innamorato di sua madre, uccise il padre e la prese in moglie. Quando l’arhat che era stato il maestro del padre lo ammonì, egli uccise anche lui e, quando la madre sposò un altro uomo, uccise anche la madre. Così facendo commise tre dei cinque peccati capitali. Tenuto a distanza dai vicini, non gli rimase alcun luogo in cui rifugiarsi. Si recò allora al monastero di Jetavana e chiese di essere ammesso nell’ordine, ma, quando i monaci rifiutarono, la malvagità crebbe ancor di più nel suo cuore ed egli appiccò il fuoco a molti alloggi dei monaci. Alla fine però incontrò il Budda Shakyamuni che gli permise di prendere i voti.

Nell’India settentrionale c’era un regno chiamato Piccole Pietre governato dal re Sigillo del Drago20. Questi uccise suo padre, ma in seguito, inorridito per la propria azione, abbandonò il paese e si presentò pentito al Budda che lo perdonò.

Il re Ajatashatru era per natura posseduto dai tre veleni e commetteva abitualmente le dieci azioni malvagie. Per di più uccise suo padre, tentò di uccidere sua madre, prese Devadatta come maestro e massacrò moltissimi discepoli del Budda. A causa di questi misfatti il quindicesimo giorno del secondo mese, proprio il giorno in cui il Budda stava per morire, piaghe virulente comparvero sulle sette aree del suo reale corpo, segno premonitore che egli sarebbe caduto nell’inferno di sofferenza incessante. Il re si contorceva dal dolore, sentendosi come divorato da un gran fuoco o immerso nell’acqua bollente. I suoi sei ministri si presentarono al re e insistettero affinché convocasse i sei maestri non buddisti per guarirlo da quelle piaghe ripugnanti. Ciò è paragonabile a quanto accade oggi alla gente del Giappone che si affida ai capi delle scuole Zen e dei Precetti o ai preti delle scuole Nembutsu e della Vera parola, considerandoli buoni maestri, nella convinzione che le preghiere di questi uomini possano sottomettere i mongoli e aiutarli nella prossima vita. Per di più Devadatta, che Ajatashatru considerava il suo vero maestro, conosceva a memoria i sessantamila insegnamenti non buddisti e gli ottantamila insegnamenti buddisti; la sua comprensione delle discipline secolari e religiose era chiara come il sole e la luna, come uno specchio levigato. Era paragonabile ai dotti preti della scuola Tendai di oggi, che sono esperti sia negli insegnamenti essoterici che in quelli esoterici e conoscono a memoria tutte le scritture buddiste. Dato che Ajatashatru era consigliato da maestri e ministri di tal fatta, aveva rifiutato di divenire seguace del Budda e per questa ragione il suo paese, Magadha, era stato ripetutamente testimone di strani fenomeni in cielo e in terra ed era stato colpito incessantemente da violenti venti, gravi siccità, carestie e pestilenze. Inoltre era stato attaccato da un altro paese. Ora, in aggiunta a tutto questo, egli stava soffrendo a causa di piaghe virulente e sembrava che il suo regno fosse ormai sull’orlo della rovina. Fu allora che egli si presentò improvvisamente al Budda, pentendosi delle sue malefatte e le sue colpe vennero cancellate.

In qualsiasi circostanza, anche se i genitori sono dei malfattori, se il figlio è virtuoso, le colpe dei genitori saranno perdonate così come, se il figlio è malvagio, ma i genitori sono virtuosi, le colpe del figlio saranno perdonate. Anche se il tuo defunto figlio Yashiro ha commesso del male, se tu, la madre che lo ha messo al mondo, ti rattristi per lui e preghi notte e giorno alla presenza del Budda Shakyamuni, come può non salvarsi? Anzi, poiché credeva nel Sutra del Loto, potrebbe essere lui a condurre i suoi genitori alla Buddità.

Coloro che credono nel Sutra del Loto devono stare attenti e guardarsi sempre dai nemici del sutra. Devono sapere che i preti Nembutsu, coloro che seguono i precetti e i maestri della scuola Vera parola, insomma tutti coloro che rifiutano di recitare Nam-myoho-renge-kyo, anche se leggono il Sutra del Loto, sono nemici del Sutra del Loto. Se non riconosci i tuoi nemici, verrai ingannato da essi. Come vorrei vederti di persona e parlarti di questi argomenti più esaurientemente! Ogni volta che vedrai Sammi-bo o Sado-ko21, quando vengono dalle tue parti, fatti leggere questa mia lettera. Falla custodire da Myoe-bo22. Chi manca di saggezza senza dubbio mi deriderà o criticherà questa lettera affermando che sono solo abili parole, o mi confronterà con altri, dicendo: «Questo prete non potrà mai essere paragonato al Gran Maestro Kobo o superare il Gran Maestro Jikaku!». Sappi che costoro sono degli ignoranti.

Nichiren

Scritta nel terzo mese del secondo anno di Kenji (1276), segno ciclico hinoe-ne, nelle montagne del villaggio di Hakiri, nella località di Nambu, provincia di Kai.

Cenni Storici

Questa lettera venne scritta da Minobu nel terzo mese del 1276, a Konichi-bo, una vedova che viveva ad Amatsu, nella provincia di Awa. Suo figlio, Yashiro, si era convertito agli insegnamenti di Nichiren Daishonin e, tramite lui, aveva preso fede anche la madre. Mentre il Daishonin si trovava in esilio nell’isola di Sado, la donna gli fece dono di diversi abiti e continuò a inviargli offerte anche dopo il suo ritiro sul monte Minobu. Konichi-bo godeva della fiducia del Daishonin che le inviò numerosi scritti, tra cui Le azioni del devoto del Sutra del Loto.

Qualche tempo dopo aver convertito la madre, Yashiro morì, e questa lettera è la risposta del Daishonin alle preoccupazioni espresse da Konichi-bo riguardo alla vita successiva del figlio che, essendo un samurai aveva ucciso altre persone.

Il Daishonin la rassicura spiegandole che Yashiro, avendola convertita alla fede nel Sutra del Loto, si sarebbe salvato dai cattivi sentieri grazie alla forte fede di sua madre. Konichi-bo superò così il suo profondo dolore, e rimase una sincera credente per tutta la vita.

La prima parte della lettera riporta la cronaca di alcuni eventi che si verificarono dal nono mese del 1271, quando Nichiren Daishonin incorse nell’ira del governo e venne esiliato sull’isola di Sado, fino al 1274, quando ricevette la grazia e si ritirò sul monte Minobu.

Successivamente, il Daishonin racconta di aver ricevuto la notizia della morte di Yashiro, ed esprime il suo profondo cordoglio a Konichi-bo. Risponde poi alla sua domanda spiegando il principio buddista del “pentimento”, che consiste nel riconoscimento delle proprie colpe passate unito all’impegno di correggersi: «Anche una piccola colpa può condurci sui sentieri del male se non ce ne pentiamo, ma anche una grave colpa può essere cancellata se ce ne pentiamo».

Citando gli esempi di Ajita e del re Ajatashatru, il Daishonin dichiara che, anche se Yashiro dovesse aver commesso del male, se sua madre offrirà preghiere giorno e notte alla presenza del Budda Shakyamuni, sarà salvato e condurrà sicuramente anche i suoi genitori alla Buddità. Il Daishonin infine mette in guardia Konichi-bo dalla possibilità di venire influenzata dai nemici del Sutra del Loto.


Note
1. Mio maestro: Dozen-bo, del tempio Seicho, presso il villaggio Tojo nella provincia di Awa, dove Nichiren Daishonin studiò e prese i voti.
2. Su Wu (140-60 a.C.): un ministro dell’imperatore Wu della dinastia Han anteriore. Su Wu era stato fatto prigioniero dai barbari del nord e, quando il successore di Wu, l’imperatore Chao, ne chiese il rilascio, gli fu falsamente risposto che era già morto. Allora uno dei servitori di Su Wu suggerì all’inviato dell’imperatore di riferire ai barbari che l’imperatore stesso aveva abbattuto nei pressi della capitale un’oca selvatica che aveva legata alla zampa una lettera che provava che Su Wu era sempre vivo e così, diciannove anni dopo la sua cattura, il capo dei barbari del nord fu costretto a liberare Su Wu.
3. Nakamaro (698-770): Abe no Nakamaro che nel 717 fu inviato come studioso nella Cina T’ang, e in seguito servì l’imperatore Hsüan-tsung come funzionario del governo cinese. Quando nel 733 volle tornare in Giappone, le autorità non lo permisero. Più tardi ottenne il permesso di partire, ma la sua nave naufragò costringendolo a fare ritorno in Cina, dove morì.
4. Quest’affermazione radicale va letta come un severo monito riguardo alle conseguenze negative della devozione agli insegnamenti provvisori. Nichiren Daishonin non la intendeva in senso letterale, ma mirava a esortare le autorità a tenere un pubblico dibattito fra lui e gli esponenti delle quattro principali scuole appena menzionate. Egli sosteneva che era assurdo che le autorità refutassero i suoi insegnamenti e lo punissero senza aver ascoltato entrambe le parti. Come si evince dal suo trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, “decapitare i preti degli insegnamenti provvisori” concretamente significa smettere di fare loro offerte.
5. Due preti laici defunti: Hojo Tokiyori, quinto reggente dello shogunato di Kamakura, e Hojo Shigetoki, cofirmatario del reggente Tokiyori.
6. Il Sutra del Loto, cap. 2, p. 90.
7. Dio dai Mille Occhi: altro nome di Shakra. Veniva chiamato il Dio dai Mille Occhi perché, secondo il Sutra Agama misto, in una vita precedente come essere umano, grazie alla sua grande saggezza aveva percepito mille significati in un singolo istante.
8. A quale avvenimento si faccia riferimento non è certo. “L’undicesimo giorno del secondo mese dell’anno successivo” si riferisce a un complotto per impadronirsi del potere, ordito da Hojo Tokisuke, fratellastro più anziano del reggente Hojo Tokimune. Il complotto fu sventato e due dei cospiratori, Nagoe Tokiaki e Nagoe Noritoki, furono messi a morte in quel giorno. Tokisuke fu decapitato il quindicesimo giorno e cinque generali furono decapitati per aver giustiziato come cospiratori degli innocenti. Questa lotta all’interno del clan reggente confermò la profezia del Daishonin sulle “lotte intestine”.
9. Questa storia si trova in Cronache dello storico e nei relativi commentari. Quando il principe Tan fu catturato e tenuto prigioniero, egli implorò il re di Ch’in di rilasciarlo. Ma questi gli disse: «Ti permetterò di tornare a casa quando la testa del corvo diventerà bianca e le corna spunteranno sulla fronte di un cavallo». Quando Tan guardò in cielo rammaricandosi della sua sfortuna, apparve un corvo dalla testa bianca, e quando si gettò a terra piangendo spuntarono le corna a un cavallo. Di conseguenza il re fu costretto a liberarlo come promesso.
10. Nichizo: prete della scuola delle Caratteristiche dei dharma che viveva nel tempio Ryumon nella provincia di Yamato. Questa poesia non è di Nichizo, ma appare nella quarta antologia imperiale Tarda raccolta di spigolature del prete Zoki. È possibile che il Daishonin avesse scritto nel manoscritto originale, non più esistente, la forma abbreviata “onorevole Zo”, trascritta in seguito erroneamente come “onorevole Nichizo”.
11. I dodici giorni che intercorrono dalla partenza del Dashonin da Sado al suo arrivo a Kamakura.
12. La prima volta fu quando il Daishonin presentò Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese a Hojo Tokiyori nel 1260. La seconda quando ammonì Hei no Saemon, poco prima della persecuzione di Tatsunokuchi nel 1271, e la terza nell’incontro sopra menzionato.
13. Urashima Taro: personaggio leggendario giapponese. Dopo aver trascorso tre anni fra i piaceri nel palazzo del dio del mare sul fondo degli abissi, Urashima ritornò a casa e scoprì che non riconosceva più nessuno degli abitanti del suo villaggio. In preda allo smarrimento e all’angoscia, aprì lo scrigno che aveva ricevuto nel palazzo del dio del mare con la raccomandazione di non aprirlo mai. Dallo scrigno scaturì una nube di fumo bianco che gli incanutì i capelli. In un solo istante si trasformò in un vecchio decrepito, perché in realtà durante la sua assenza erano trascorsi numerosi secoli.
14. Fonte sconosciuta. Una storia simile appare nel Trattato sulla grande perfezione della saggezza. In questa storia si narra che durante un incendio scoppiato nelle vicinanze di Kushinagara in India, un fagiano immerse le piume delle sue ali in un fiume e si gettò nelle fiamme per spengerle, sacrificando la vita per salvare la sua famiglia. Il monastero del Boschetto di Bambù, costruito da re Bimbisara come offerta al Budda Shakyamuni, si trova a Rajagriha in India.
15. Questa storia appare in Cronache delle regioni occidentali e in altre fonti. Il signore di Varanasi cacciò e uccise numerosi cervi in una certa località. Il re dei cervi lo implorò di cessare l’inutile massacro e promise che gli avrebbe fornito ogni giorno il numero di cervi desiderato. Un giorno il re dei cervi aveva a disposizione solo una cerva gravida e allora preferì consegnare se stesso al signore. Questi rimase così impressionato dalla sua compassione che gli concesse quella terra, che da allora fu chiamata Parco dei Cervi.
16. Wang Ling (?-177 a.C.): un alto funzionario della dinastia Han anteriore. Quando Hsiang Yü di Ch’u combatté contro Liu Pang di Han per il possesso della città, catturò la madre di Wang Ling per costringerlo ad allearsi con lui. Ma la madre mandò in segreto un messaggio al figlio esortandolo a rimanere fedele a Liu Pang e subito dopo si suicidò.
17. Consorte dell’imperatore Shen Yao: una delle mogli di Li Yüan (565-635), il fondatore della dinastia T’ang, che fu in seguito chiamato Shen Yao. Si dice che fosse bella e intelligente, versata nella calligrafia e nella pittura.
18. Questa storia appare in Annotazioni su “Parole e frasi del Sutra del Loto”. Gavampati, uno dei discepoli di Shakyamuni, per aver rubato del miglio in una passata esistenza, rinacque come bue per cinquecento vite successive. Pare che anche dopo essere diventato un discepolo del Budda si comportasse come un bue.
19. Fonte sconosciuta.
20. Questa storia appare nel Sutra del Nirvana, ma non si conoscono altre notizie sul paese delle Piccole Pietre o sul re Sigillo del Drago.
21. Sado-ko (1253-1314): era un altro nome di Niko, uno dei sei preti anziani.
22. Myoe-bo: uno dei discepoli del Daishonin, che aveva rapporti con il tempio Seicho. Di lui non si hanno altre informazioni.